Quando è stato pubblicato per la prima volta, nel 1974, questo libro è diventato subito un bestseller, e pochi mesi dopo è diventato uno show di Broadway. Per decenni ha ispirato generazioni di lettrici e lettori, di studiose e studiosi. Persino Barack e Michelle Obama, nel 2023, hanno ammesso di aver preso spunto da questo testo per girare la docuserie Netflix Working, dedicata alle condizioni di lavoro nell’America contemporanea. Vincitore del Premio Pulitzer nel 1985, Studs Terkel in questo libro intervista un pompiere e una casalinga, un conducente di autobus e una cameriera, un sindacalista e una sex worker, un musicista jazz e il proprietario di una fabbrica, un allenatore di football e un’insegnante, oltre a più di cento altre persone. Come rivela l’analisi di Francesca Coin, il risultato è uno spaccato duro e poetico della vita di chi lavora. In un’epoca che nasconde i volti e le voci delle persone che mandano avanti la nostra società, Terkel strappa all’anonimato i protagonisti del nostro tempo e pone loro una domanda difficile. Qual è il senso del lavoro che facciamo? Portando a galla i malcontenti e le frustrazioni, ma anche i desideri e le aspirazioni di chi lavora, l’autore ci restituisce un mondo ironico e imprevisto. Ne emerge che il lavoro non è solo una specie di morte che accade dal lunedì al venerdì, ma una «ricerca di significato quotidiano oltre che di pane quotidiano, di riconoscimento oltre che di denaro, di stupore piuttosto che di torpore». Persino l’immortalità fa parte di questa ricerca. «Essere ricordati era il desiderio, espresso e non espresso, degli eroi e delle eroine di questo libro».
«Io porto perennemente le sbarre in me» confidava Kafka all’amico Gustav Janouch. Questo libro indaga le peculiari modalità di espressione letteraria dell’ebreo, concentrandosi su quel caratteristico sentimento del ghetto che Elena Loewenthal descrive come «un luogo che ognuno di noi porta ancora dentro di sé, che ognuno nasconde nelle pieghe del cuore, nei sogni di notte e in una strana, inappagata sete di spazi aperti». Luca De Angelis rintraccia questa cosmografia interiore viaggiando nella letteratura ebraica fra Otto e Novecento in autori come Kafka, Zangwill, Svevo, Bassani, Saba e molti altri.
Già sessant’anni o solo sessant’anni, quelli trascorsi dal lontano 28 ottobre 1965, data di promulgazione della dichiarazione conciliare Nostra aetate? Non è facile rispondere. Certo, sessant’anni rappresentano una tappa importante. Per la Bibbia si tratta dell’età della definitiva pienezza e maturità: il che vale anche per il Vaticano II, al cui cuore si colloca appunto, strategicamente, Nostra aetate. Essa può considerarsi il punto di non ritorno sia dei rapporti fra cristiani ed ebrei, sia delle relazioni fra i cattolici e i fedeli delle altre religioni, all’esaurirsi della lunga stagione contrassegnata dall’assioma extra Ecclesiam nulla salus. Questo libro riporta le riflessioni dedicate al tema durante il settimo convegno della Fondazione Pietro Lombardini. Un tema reso ancor più caldo e delicato dal tremendo evento del 7 ottobre 2023, la mattanza di ebrei in Israele perpetrata da Hamas e il contestuale avvio dell’ennesima, drammatica fase del conflitto israelo-palestinese.
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