Fra le feste del calendario ortodosso, la Pasqua ha una risonanza tutta particolare nella storia della cultura e della letteratura russa. Non solo è al centro di importanti testi medievali e perno della cronologia di alcune grandi opere del XIX secolo – ad esempio, Resurrezione di L.N. Tolstoj, Delitto e castigo e I demoni di F.M. Dostoevskij –, ma è anche ispiratrice di un genere letterario a sé stante: «il racconto pasquale». Antonella Cavazza traccia l’evoluzione del genere del racconto pasquale dalle sue origini a oggi, soffermandosi sulla produzione di autori noti come F.M. Dostoevskij, L.N. Tolstoj, A.P. Čechov, I.A. Bunin, V.V. Nabokov e A.I. Solženicyn e altri meno noti o sconosciuti al pubblico italiano, come V.A. Nikiforov-Volgin, M.A. Kučerskaja, S.A. Ščerbakov e A.B. Torik degni di nota, di attenzione e traduzione in lingua italiana. Poiché lo studio del genere del racconto pasquale è inscindibile dalla storia dei costumi e delle tradizioni russe e ortodosse, nel testo viene dedicato ampio spazio anche alle tradizioni popolari legate alla Pasqua. In appendice è proposta la traduzione integrale di cinque racconti, tre dei quali vengono portati alla conoscenza del pubblico italiano per la prima volta.
Veemenza, da vehere, è un atto di trasporto psichico. La memoria ci toglie dal presente mentale creando veemenze. Ogni ricordo s’inserisce in un contesto più vasto e fa scattare una conca di echi. I versi di Barbara Carle rievocano l’infanzia, la gioventù trascorsa in paesi diversi, la passione, il dolore, l’arte, i ritratti di persone incontrate per le strade di New Delhi, Dhaka, New York e Sacramento. La memoria ritorna ai poeti amati, ai grandi momenti della storia europea, ai momenti di dolore e di abbandono, del lutto per gli amati scomparsi. Come i mille umori del mare, le veemenze si fanno distese, lisce, calme, agitate, tempestose, cupe o luminose, si trasformano in un concerto di bisbigli e schianti, sussurri e silenzi.
Gli scritti qui raccolti ripropongono il percorso di una singolare figura di intellettuale militante quale è stato Giuseppe Trotta nel corso della sua breve vita pubblica. Un senso acuto delle discontinuità storiche e politiche, il disincanto di una mente lucida e affilata unito a una disponibilità quasi disarmata di fronte alle provocazioni più radicali, specie di matrice evangelica, l’urgenza di informare e orientare una platea di interlocutori circoscritta ma assai differenziata convergono in ciascuno di questi testi, spesso brevi, sempre sorprendenti. A partire dall’asserita, e sofferta, inconciliabilità tra mondo e vangelo, storia ed escatologia, l’autore si sofferma con autentica pietas sulle testimonianze di fede che una qualche distensione umana pure hanno assunto: un’espressività e visibilità riconosciute, un significato vissuto e condiviso anche dai più semplici. Da Simone Weil alla santa Teresina, da don De Luca a don Milani, da Sturzo a Dossetti, gli scritti di Trotta accompagnano il lettore nella riscoperta del paradosso sempre sconcertante dell’esperienza credente.
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